Ho dormito in una torre

Guardo dall’alto la vallata che si spinge fino all’inizio del bosco. Sono seduta su una delle due sedie a sdraio di legno. Quella accanto a me è vuota, eppure provo un senso di completezza che non lascia spazio ad alcuna malinconia. Sorseggio il Gewurztraminer che mi sono portata da casa insieme al calice per celebrare questo fine settimana dedicato solo a me. Di fronte a me la vallata si colora del giallo intenso tipico dell’ora del tramonto. 

Di tanto in tanto chiudo gli occhi per sentire sulla pelle il vento amplificato dal respiro lento. Sono qui. Finalmente. 

Ritorno con la mente al mese di Gennaio, quando la Torre di Gombola mi ha trovata e mi ha fatto innamorare. Una casa torre costruita su una collina della campagna modenese, completamente immersa nella natura. Qui il tempo si è fermato al XV secolo e non è solo un modo di dire. Nella casa torre dove alloggio, infatti, non ci sono corrente elettrica, bagno e acqua corrente. Quattro piani collegati da ripide  scale di legno e nessuna comodità di quelle a cui oggi siamo così abituati da non riuscire neppure a immaginare che non ci siano. 

Non ci ho messo molto a decidere di venire qui, e di farlo da sola. Volevo portarmi via per qualche giorno, parlarmi, ascoltarmi, sentirmi. Così ho prenotato il mio piccolo viaggio nel tempo. Ed ora sono qui, un po’ infreddolita. Una giornata grigia e afosa sta lasciando il posto a un cielo limpido che promette una notte stellata e il tramonto è tutto ciò che ti serve. Mi giro e guardo, dal basso all’alto, quella che sarà la mia casa per due notti. Dormirò lassù, penso mentre guardo la piccola finestra dell’ultimo piano, anticamente la colombaia. Capisco perché lassù vivevano gli uccelli: salire le ripide scale di legno non è la cosa più agevole per chi non ha ali. Salirò tra poco, quando l’ultima luce sarà scesa oltre la collina e le prime stelle inizieranno a brillare, ma per ora mi godo l’ultimo sorso di vino fresco e profumato e ascolto il ronzio degli insetti che si posano sulla lavanda, mentre i cinghiali, in lontananza, salutano la sera.  

Questo vento pulisce i pensieri e sento di essere nel posto giusto. Un brivido più forte mi fa decidere a entrare. Chiudo il portone della torre, accendo la torcia e salgo lentamente. Supero il piano del salotto con l’antica stufa a legna, quello con il grande tavolo di legno e gli scacchi. Penso che sarebbe divertente fare una partita ma questa è una delle poche cose che non posso fare da sola. Sorrido mentre salgo l’ultima scala fino ad arrivare in camera. Apro il lucernario e guardo le stelle che iniziano a brillare nonostante il cielo non sia ancora completamente buio. Faccio un respiro profondo pieno di gratitudine e richiudo. Mi addormento felice che avrò un’altra giornata e una seconda notte da trascorrere qui. 

Anche se mi fingo proprietaria di una casa torre, non abbandono le mie abitudini cittadine e mi alzo alle cinque. Fare yoga nel giardino ha un sapore speciale. Fa ancora un po’ freddo, ma l’alba promette un’altra giornata calda e limpida. Bevo il caffè mentre cammino in cerca delle zone scaldate dai primi raggi del sole e mi sembra che sia uno dei caffè più buoni che abbia mai bevuto. 

La giornata trascorre lenta, silenziosa, rilassata. Leggo, penso, ricordo e immagino il futuro. Mando un messaggio alla mia amica sorella per dirle che va tutto bene e che stare qui mi dà un grande senso di libertà, quella libertà di chi non si aspetta nulla da nessuno se non da se stessa, di chi ha imparato che la solitudine è uno stato dell’anima che non ha nulla a che fare con la mancanza e tutto con la capacità di volersi bene. Le racconto di quanto stare qui, in questa scomodità scelta, in questa semplicità di vita che induce i sensi a rallentare, mi stia portando un senso di pace e di gratitudine che porterò a casa con me. Imparare a stare bene in questa solitudine è stata una scelta, una conquista che ha un prezzo certo, come non potere giocare a scacchi, ma il gioco vale la candela  e la metafora qui è decisamente azzeccata. Mentre aspetto il secondo tramonto del mio fine settimana, mi diverto a immaginare che un giorno tornerò, magari con il mio compagno di viaggio. Saliremo al terzo piano, ci siederemo al tavolo davanti alla scacchiera. Io voglio le pedine nere. Inizia la partita e non ho idea di chi vincerà. Mi volterò indietro in attesa della sua prima mossa, guarderò oltre la piccola finestra e mi ricorderò di questo giorno, nel quale immaginavo il mio futuro mentre provavo una gioia profondissima, quella di chi si è fatto un gran bel regalo. Ma poi, mentre il sole scende dietro gli alberi e la luce si fa meno intensa, torno al mio presente e mi ricordo di una cosa importante: io non sono brava a giocare a scacchi. E allora magari qui ci tornerò di nuovo da sola. E salirò fino alla colombaia sentendomi la signora della torre. 

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